LA FIGURA DELLO PSEUDO DIRIGENTE
La qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che opera come alter ego dell’imprenditore: così si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, la quale è stata chiamata a decidere sulla legittimità del licenziamento comminato ad un dirigente alla stregua della nozione contrattuale di giustificatezza.
In tale occasione il lavoratore aveva impugnato il licenziamento asserendo di rivestire all’interno dell’azienda la mera qualifica di pseudo dirigente.
Decisamente complesso è infatti il discorso relativo all’accezione degli pseudo dirigenti, i quali, pur essendo inquadrati per il loro nomen all’interno della categoria dirigenziale, di fatto svolgono mansioni caratterizzate da un grado di autonomia ed indipendenza non corrispondenti al profilo, tipizzando piuttosto le competenze proprie di una categoria inferiore come quella dei quadro o degli impiegati direttivi.
Il profilo dello pseudo-dirigente, peraltro, si distingue da quello del c.d. mini-dirigente (o dirigente non apicale), definito dalla giurisprudenza come quel dirigente che non è collocato in posizione di immediata subordinazione rispetto al datore di lavoro, ma è posto alle dipendenze di un altro dirigente di livello superiore. A tale ultima figura è conferita, sebbene in via limitata, quell’autonomia decisionale preclusa allo pseudo-dirigente.
La giurisprudenza di legittimità ha quindi più volte chiarito che la qualifica di “dirigente apicale” spetta esclusivamente a quel lavoratore che sia preposto alla direzione interna dell’organizzazione aziendale e che, nell’esercizio delle proprie attribuzioni, sia in grado di imprimere un indirizzo ed un orientamento complessivo dell’azienda, assumendosene la responsabilità.
“Da questa figura si differenzia quella dell’impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell’imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e corrispondente limitazione di responsabilità” (c.d. pseudo dirigente) Cass. Civile, sez. lavoro, 23.03.2018, n. 7295.
E’ bene specificare, dunque, che la collocazione del lavoratore sotto la definizione di pseudo-dirigente rappresenta il passaggio necessario per l’individuazione dell’opportuna tutela legale.
Invero, la peculiarità del rapporto di lavoro dirigenziale, che trova il suo tratto distintivo nel legame fiduciario sorto tra datore di lavoro e dirigente, si traduce in una rilevante differenziazione di tutela rispetto agli altri lavoratori dipendenti, per la quale nel caso di risoluzione del rapporto lavorativo opera il criterio della libera recedibilità prevista dall’art. 2118 c.c., attenuata dalla previsione di forme di tutela indennitaria/risarcitoria normalmente stabilite dalla contrattazione collettiva per il caso di “ingiustificatezza” del licenziamento.
Nel caso dello pseudo-dirigente, pertanto – capace di racchiudere in sé tanto gli aspetti del dirigente sul piano formale dell’inquadramento quanto quelli dell’impiegato sul piano sostanziale delle mansioni di fatto espletate – ci si trova innanzi alla difficoltà di individuare la tutela legale applicabile avverso il licenziamento.
In proposito pare piuttosto consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il regime di risoluzione del rapporto dello pseudo-dirigente soggiace all’ordinaria disciplina legale.
In sostanza, nell’ipotesi di licenziamento dello pseduo-dirigente, si applicano le medesime limitazioni previste dalla L. 604 del 1966 (giustificato motivo oggettivo e soggettivo) e dall’art. 2119 cc. (giusta causa) nonché gli strumenti di tutela riferibili a qualsiasi lavoratore subordinato nel caso di procedimento disciplinare di cui all’art. 7 Stat. Lav. – e non quindi le regole della giustificatezza del licenziamento proprie della qualifica dirigenziale.
In quest’ottica ne consegue che, in caso di licenziamento di dipendente formalmente inquadrato come dirigente, grava sul lavoratore, che intenda fruire del più favorevole regime limitativo dei licenziamenti individuali previsto per i dipendenti, l’onere di provare la natura meramente convenzionale dell’inquadramento e le mansioni concretamente svolte quale pseudo dirigente.
Già in passato la Corte di Cassazione (sentenza n. 20763 del 23.11.2012) aveva affermato l’estendibilità della tutela reale in caso di licenziamento a danno di uno pseudo-dirigente, accogliendo in sostanza la richiesta di reintegro di un “dirigente per convenzione” che era stato illegittimamente licenziato per giustificato motivo oggettivo a seguito della fusione per incorporazione della società di appartenenza con altro gruppo societario.
Con la medesima sentenza, inoltre, era stato ordinato anche il risarcimento del danno pari alla somma della retribuzione globale dovuta al dipendente licenziato a partire dal recesso sino all’effettiva reintegrazione – dipendente che, come detto, sebbene formalmente inquadrato quale dirigente, nella sostanza apparteneva alla categoria dei lavoratori subordinati, in quanto privo di mansioni apicali di comando, di poteri decisionali autonomi o di indirizzo aziendale.