Dirigenti NordEst: 01-02 2020
Daniele Damele
Giustamente le insidie, a tutti i livelli, del coronavirus cinese hanno riempito la maggior parte degli spazi mediatici tra fine gennaio e inizio febbraio. Poi c’era il classico Festival di Sanremo con i soliti numeri da urlo per audience e quant’altro al netto delle polemiche e delle differenti prese di posizione, canzoni a parte. Ma in quel momento è accaduto un altro fatto eclatante: l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa.
E il tema della Brexit va certamente ripreso e approfondito. Dispiace che gli inglesi abbiamo voluto uscire da un’Europa alla quale, forse, non si sono mai legati troppo preferendo da sempre stare per conto loro. Si pensi che mentre osserviamo che a distanza di anni uno dei pochissimi riferimenti unici per l’Europa è la moneta, l’euro, ma verrebbe da dire la finanza, in Inghilterra non è mai venuta meno la sterlina. È sempre stato un altro mondo rispetto al nostro mondo latino, anche nelle chiese. Resta il fatto che sono usciti dall’Ue e lo hanno fatto festeggiando col prosecco che, diciamolo, tanto britanni- co non è, semmai friulano o veneto. In ogni caso la Brexit potrebbe divenire una grande e addirittura ghiotta opportunità per l’Italia e il Nordest del nostro Paese in particolare per attrarre investitori che hanno necessità di affrontare il mercato europeo.
La domanda è: come restare in contatto con l’United Kingdom? Sono convinto che in un tempo nemmeno tanto lontano oltre Manica si renderanno conto del salto nel buio effettuato dopo 47 anni di relazioni con l’Europa. Ora ci sono 10 mesi per costruire un rapporto nuovo e duraturo. Occorre che politica e imprese facciano la loro parte affrontando la seconda fase della Brexit. Iniziamo da cosa va scongiurato preventivamente: no a barriere commerciali. In questo la Scozia potrebbe essere dalla nostra parte in quanto più i nordirlandesi dovessero sentirsi danneggiati dalla Brexit, più forte diverrà la domanda d’indipendenza. Occorre chiarire, quindi, che commercio senza regole e sovranità politica sono del tutto incompatibili.
L’Italia è opportuno che non dica, poi, di no agli asset di difesa britannici per una politica comune sulla sicurezza. Il format EU-3 applicato in Libia e Iran rende l’Inghilterra un partner insostituibile per noi europei.
Sì deciso, poi, alla cooperazione per raggiungere una dimensione geo-strategica e geopolitica estera comune. Diversamente ci troveremo dinanzi a una politica estera da follia pura.
Si anche ad accordi bilaterali per i nostri giovani e le nostre imprese, il commercio, consapevoli che la parte più difficile da realizzare in proposito sia per noi sia per i britannici è davanti a noi. Solo rapporti improntati all’etica e a benefici comuni potranno far sentire meno questo strappo.
A chi è appassionato di storia sarà tornato in mente l’Atto di Supremazia con il quale Re Enrico VIII si proclamò capo della Chiesa rompendo i ponti con il cattolicesimo.
Abbiamo compiuto un passo indietro rispetto a un’Europa ancora tutta da realizza- re e da modificare rispetto a quella attuale giustamente percepita come troppo condizionata dalla burocrazia di Bruxelles e dall’unico, troppo parziale, momento di unità che, come accennato, risiede nella moneta. Per far sì che l’Europa unita non resti un miraggio, un mero sogno dei nostri più lucidi e competenti politici, del passato, ma un Continente dove si lavora e si vive bene dobbiamo costruirla dalle fondamenta con uno sguardo continuo a un’Inghilterra con un Big Ben che non dica mai stop.