di Daniele Damele
“Dall’energia all’approvvigionamento di materie prime sono molti i problemi provocati dai conflitti”. La guerra della Russia all’Ucraina è il momento più grave che viviamo dal punto di vista geopolitico negli ultimi anni. Questo conflitto segna tragicamente la storia contemporanea ancor più della pandemia da Covid 19 ancora in atto.
Nel futuro è facilmente ipotizzabile un asse Russia-Cina, di ciò dovremo tener conto. La Russia ha un export da economia primordiale di materie prime, petrolio e gas. E, inoltre, è un mercato fondamentale per l’export friulano, specie per elettrodomestici e arredo. E anche dall’Ucraina Italia e Friuli importano molte materie prime e prodotti per la siderurgia. Gli effetti negativi di tutto ciò sono stati subito evidenti già dopo i primissimi giorni della guerra.
Tutto ciò pone in risalto che il modello di economia globalizzata non regge più, almeno un certo modello di detta economia. Le filiere lunghe riferite a forniture e subforniture non reggono più. La Cina non dev’essere più la “fabbrica” a costi bassi per il mondo.
Chi scrive quando parlò di “nomadismo imprenditoriale” alla ricerca di mercati sempre più economici per lucrare di più, purtroppo ebbe una corretta intuizione. D’altronde quello non era e non è un atteggiamento etico e oggi la guerra rappresenta l’antitesi e l’opposto dell’etica.
Non possiamo dipendere dalla Cina a livello di componentistica e prodotti finiti, vanno viceversa create, ben consapevoli che ci vuole tempo, filiere europee ad esempio di semiconduttori, microchip e quant’altro possibile.
L’Italia è un forte importatore di gas ed energia. Ciò deriva dal fatto che in passato si è detto no a tutte le possibili soluzioni interne, dal nucleare ai rigassificatori sino alle trivelle e ai termovalorizzatori. Si è preferita una scelta ecologista mantenendo il “nostro giardino” indenne godendo di energie provenienti dall’estero che oggi paghiamo a carissimo prezzo. Purtroppo a suo tempo fu detto no anche al fotovoltaico a terra e non si è decisamente investito sulle fonti rinnovabili di energia. Occorre correre ai ripari, velocemente, non per risolvere il problema contingente (possibile, solo in parte, rivolgendosi ad altri Paesi esportatori di energia), ma quello futuro. Sotto questo aspetto è indispensabile rivedere tutti i tempi della transizione “green” riducendoli al massimo possibile. Nel futuro non è possibile altra alternativa se non quella dell’autonomia, per quanto possibile, di approvvigionamento energetico dal petrolio al gas.
Stiamo per uscire, si spera vivamente, dalla pandemia dopo due anni terribili e, a dire il vero, i segni della ripresa erano anche piuttosto evidenti sino a prima della guerra in Ucraina. Ora è il momento della richiesta alta e forte del cessare l’uso delle armi, ma anche quello volto a elaborare strategie e visioni, ad avere intuizioni per il futuro per tornare a garantire programmazione e serenità specie ai giovani.
Non c’è alcun dubbio che il Friuli abbia retto la tempesta del Covid ch’era imprevedibile e che ha colto tutti impreparati. È emerso uno spirito d’intraprendenza di altissimo livello. È evidente che viviamo un momento d’incertezza complessiva, ma dobbiamo pensare al domani, dobbiamo disegnare un Friuli che punti alla modernizzazione del sistema. Ciò significa pensare anche al digitale, all’ambiente, all’innovazione tecnologica all’istruzione e alla formazione. Occorre pensare a imprenditori e manager che congiuntamente assicurino un modello di governance efficiente ed efficace, occorre pensare al futuro.
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