Il governo Meloni, e in particolare la Lega, aveva promesso in campagna elettorale il superamento della legge Fornero. Una delle proposte riguardava “quota 41” per tutti senza tagli, ma, in generale, la difesa delle pensioni, attuali e future, avevano certamente colpito gli elettori che si sono orientati nell’esprimere il voto a favore del centro destra e della Lega in particolare.
Siamo alla seconda manovra di questo governo. Le cose non vanno nel senso promesso. Mancano risposte per giovani, donne, lavoratori prossimi alla quiescenza e pensionati. Per tutti si sposta il traguardo della pensione e si continua a “far cassa” sulla previdenza.
Quota 103 (62 anni di età e 41 anni di contributi) doveva essere il primo passo per giungere entro il 2027 (fine della legislatura) al “41 per tutti senza tagli”. La quota 103 del 2024 è peggiorativa rispetto al 2023 in quanto prevede il ricalcolo contributivo e le finestre di uscita che aumentano di ulteriori quattro mesi per i privati e tre per i pubblici, con un tetto massimo di pensione per il 2024 di circa 2.392 euro lorde. In più vengono inibite eventuali attività lavorative extra che, invece, porterebbero a contribuzioni fiscali (alternative alle… evasioni!). Si prevedono perciò poche uscite con quota 103.
Per l’Ape sociale si innalza il requisito di età: da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. Per Opzione donna viene aumentato il requisito contributivo di un anno, dopo l’azzeramento previsto dal Governo nella scorsa legge di bilancio. Saranno necessari entro il 31.12.2023: 35 anni di contribuzione e 61 anni di età per le casistiche definite precedentemente (caregiver, invalidità dal 74%, licenziate o dipendenti aziende con tavolo di crisi aperto).
Dal 01.01.2025 il requisito per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi, uno in meno per le donne) potrà aumentare, se crescerà l’attesa di vita. Era stato bloccato sino alla fine del 2026.
Per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 01.01.1996 viene innalzato l’importo soglia da raggiungere per accedere alla pensione anticipata con 64 anni di età e 20 anni di contribuzione, da 2,8 a 3,0 volte l’assegno sociale (1.600 euro lordi circa), rimane 2,8 volte per le donne che hanno avuto un figlio, 2,6 per coloro che ne hanno avuti almeno due. A 67 anni 1,5 volte l’assegno sociale si abbasserà a 1 volta (533 euro lordi circa). Vengono introdotte le finestre di uscita trimestrali e un tetto massimo di pagamento fino a 5 volte il trattamento minino (2.990 euro lordi circa).
Nessun intervento viene previsto sulla piena indicizzazione delle pensioni e viene confermato il taglio dello scorso anno: oltre 4 volte il trattamento minimo (oltre ai 2.272 euro lorde circa). Eppure perequazione, favore alla previdenza complementare (con innalzamento della detrazione), separazione dei conti Inps tra previdenza e assistenza erano e sono richieste chiare avanzate da Federmanager e CIDA, e di tutte le altre organizzazioni sindacali.
Il taglio sulle pensioni dei pubblici è paradossale, in quanto vengono riviste dal 01.01.2024 le aliquote di rendimento per la quota di pensione retributiva, per coloro che lavorano negli enti locali, per coloro che sono iscritti alla cassa sanitari o alla cassa pensione degli ufficiali giudiziari o insegnanti di asilo o scuole elementari parificate. Giustamente CIMO e altre associazioni hanno espresso la loro totale contrarietà e i rischi che detta previsione potrà provocare. Questa previsione riguarderà oltre 700 mila dipendenti pubblici.
Sul contrasto all’evasione fiscale non si intravvede, invece, nulla di sostanziale eppure 18 milioni di italiani, pari a oltre il 44% dei contribuenti, versano solo il 2% scarso dell’IRPEF. Tutti poveri? Mah…!
Oltre a ciò bisognerebbe avere più coraggio nel chiedere un maggior contributo fiscale ai percettori di elevati patrimoni.
Daniele Damele
Presidente Federmanager FVG
Antonio Pesante
Responsabile Comitato pensionati Federmanager FVG