Da tempo mi sono convinto che sussiste una straordinaria opportunità per il nostro sistema produttivo economico industriale: per rendere competitiva l’offerta di lavoro e far sì che le imprese diventino più attrattive, specie per i giovani e i cosiddetti “cervelli” è fondamentale investire decisamente in un sistema di welfare moderno, flessibile e orientato al futuro senza andare a discapito, ovviamente, di salari adeguati.
Occorre costruire percorsi di carriera che valorizzino le competenze rimuovendo ogni ostacolo strutturale alla crescita professionale, in altre parole favorire realmente e non solo a parole la tanto decantata meritocrazia.
Valorizzare il talento significa rafforzare il capitale umano e contribuire in modo concreto a contrastare la fuga all’estero.
Questo è particolarmente vero per un’area come il Triveneto caratterizzato, com’è noto, da un’elevata densità industriale e una resilienza che la rende centrale nelle trasformazioni economiche. Occorre agevolare le imprese a trattenere e attrarre nuovi talenti. La sfida riguarda soprattutto il tipo di ambiente lavorativo che le aziende sono in grado di offrire, le opportunità reali di crescita professionale in contesti conciliabili con i progetti di vita delle persone e pacchetti di welfare concreti su assistenza sanitaria e previdenza.
I risultati di una recente indagine condotta da Fondazione Nord Est offrono uno sguardo prezioso su questo tema. L’analisi si è concentrata sul welfare aziendale, le misure di conciliazione vita-lavoro, genitorialità e governance inclusiva, mettendo in luce i limiti e le potenzialità di un sistema che vuole essere attrattivo, ma spesso non parla il linguaggio delle nuove generazioni.
Il Triveneto ha un livello di welfare soddisfacente, ma bisogna andare oltre alla flessibilità oraria favorendo lo smart working sulla base di obiettivi e performances, garantendo servizi per il presente e il futuro. Vanno, poi, attraverso i manager, sentite e comprese le esigenze specifiche dei lavoratori in termini di tempi a disposizione, servizi per l’infanzia, la non autosufficienza, la formazione, la previdenza e la sanità.
Un altro elemento critico è l’assenza di servizi aziendali dedicati ai figli dei dipendenti nei periodi di chiusura scolastica: mancano quasi del tutto iniziative come asili nido aziendali o attività estive ricreative, anche in forma convenzionata con uno sguardo anche all’età adolescenziale con premi per i ragazzi che vanno bene a scuola risultando promettenti.
La tanto decantata parità di genere, poi, va posta in atto effettivamente con, al primo posto, il rispetto che non può vedere i dirigenti un esempio per tutti. Se imprenditori e dirigenti sapranno sempre più puntare a un operoso benessere collettivo si giungerà senza indugi a un equilibrio sociale.
I giovani lavoratori, in particolare le generazioni Millennial e Gen Z, sono attratti da sistemi di welfare aziendale che vanno oltre i tradizionali benefici economici. Cercano benessere complessivo, flessibilità e opportunità di crescita. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di scegliere come usare il credito welfare (es. buoni spesa, carburante, abbonamenti trasporto, istruzione) ai premi di risultato convertibili in welfare: vantaggi fiscali e maggiore personalizzazione, ai contributi per affitto o acquisto casa (welfare abitativo) molto apprezzato dai giovani che vogliono uscire dal nucleo familiare.
In sintesi, vanno valorizzati: autonomia e flessibilità, crescita personale e professionale, benessere e valori condivisi.