Occorrono visioni, strategie e capacità volte all’internazionalizzazione delle imprese
La situazione geopolitica e socio-economica del 2026 non è sostanzialmente differente da quella del 2025. Ovviamente tutti auspicano cambiamenti decisi e decisivi circa tregue e accordi di pace con prospettive reali. Intanto osserviamo che la Cina ha realizzato una sovracapacità produttiva abnorme. E nella loro politica di export prima arriva il dumping per far morire i competitor e poi, una volta eliminata la concorrenza, l’innalzamento dei prezzi. La Cina accelera e trasferisce sull’Europa il peso della sua espansione industriale.
Il surplus commerciale cinese, a novembre, ha superato infatti la soglia record di un trilione di dollari. Pechino controlla il 31% del valore aggiunto manifatturiero mondiale e nei primi undici mesi del 2025 ha accumulato un avanzo di 1.076 miliardi, superando con un mese di anticipo il livello del 2024. Ma può la Cina essere un motore di sviluppo e non solo una minaccia? Certamente delle partnership possono permettere di crescere magari guardando all’Europa, anche dalla stessa Italia, come a una piattaforma di investimento. Per fare ciò occorre investire risorse proprie per creare valore aggiunto. Dal punto di vista del manifatturiero non va scordato, però, che la Cina ha installato una capacità produttiva enorme ponendo sul mercato prodotti sottocosto che spiazzano l’industria europea. È ovvio che l’Europa deve decidere quanto è importante per lei la manifattura consapevoli che con la morte del manifatturiero muore la classe media.
Sulle ultime mosse americane, invece, è necessario essere consapevoli che gli Usa non possono prescindere da un rapporto privilegiato con l’Europa la quale deve, però, agire e reagire con decisione e unità, pena il collasso di interi settori industriali. La politica industriale europea deve cambiare rotta e smettere di essere subordinata agli interessi di singoli Stati (tra i quali non vi è l’Italia…). Serve una visione di lungo periodo che tuteli la manifattura, investa davvero in innovazione e garantisca una concorrenza leale ed etica. Lo stesso rilevante avanzo cinese è anche il prodotto di una rotazione delle rotte globali: le esportazioni verso gli States sono crollate del 28,6% a novembre, mentre l’export verso l’Unione europea è aumentato del 14,8%, assorbendo parte dell’eccesso produttivo cinese. E il surplus per la Cina finanzia la scalata tecnologica, consolida standard industriali e genera dipendenze commerciali.
Il Nord Est italiano si trova attualmente esposto sia come mercato di assorbimento sia come potenza manifatturiera. Serve ripartire dai dati positivi. Al netto della cantieristica, il cui apporto resta determinante, il trend dell’export del Nordest italiano rimane positivo, con una crescita del 2,6%. Mantiene il segno più l’export in Friuli Venezia Giulia, che secondo le elaborazioni dell’Ires su dati Istat, nei primi nove mesi del 2025 si attesta a 16 miliardi di euro. Quasi tre miliardi in più di quanto registrato nello stesso periodo del 2024, facendo segnare la crescita più elevata tra tutte le regioni italiane (+22,5% in termini relativi). E se a livello nazionale la variazione è stata pari a più 3,6%, nel Nordest si è fermata a un più 1,9%. Da gennaio a settembre le vendite di navi e imbarcazioni hanno sfiorato i 3,7 miliardi (pari a un incremento del 245,6%).
Crescono i flussi destinati alla Germania (+55,3%) e agli Stati Uniti (+67,5%), grazie alla cantieristica navale mentre nei primi nove mesi del 2025 il numero di occupati in regione è in media pari a 525.800 unità, 1.800 in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (-0,3%). Il calo si è concentrato sul lavoro indipendente (-5.300 unità, pari a -5,1%), mentre l’occupazione dipendente registra un aumento di 3.500 unità (+0,8%). Il risultato positivo dell’industria (+7.300 occupati su base annua) compensa il deciso calo registrato nell’edilizia (-5.600 unità), dovuto al ridimensionamento degli incentivi fiscali.
Il 2026 si annuncia per l’industria e i suoi manager denso si sfide importanti. Il Nordest Italia deve tornare a produrre con competitività eccellente puntando alla modernizzazione. Per realizzare ciò occorrono visioni, strategie e capacità volte all’internazionalizzazione delle imprese, ma serve anche mirare senza indugi all’innovazione tecnologica, alla formazione costante e coerente di dirigenti e lavoratori e agli investimenti privati e pubblici con un nuovo ruolo della finanza. Alla PA si chiede ancora una volta e sempre di sburocratizzare, richiesta improcrastinabile per favorire ripresa e crescita senza “palle al piede”.
Daniele Damele
Presidente Federmanager FVG
e Segretario Cida FVG







