Dirigenti NordEst: 08-09 2020
Mario Merigliano, Presidente Federmanager Venezia
La nostra Associazione, in tre quarti di secolo di vita ha vissuto periodi di rilevanza economica, sociale, politica: ricostruzione nel dopoguerra, sviluppo, crisi, anni di piombo, caduta del muro, globalizzazione, e ora il Covid-19.
Nel contempo, in Federmanager, si sono evolute organizzazione e regole di funzionamento che hanno inciso anche sul nostro modo di stare insieme, aumentando il senso di appartenenza, collegato anche alla dipendenza dalla qualità dei servizi resi agli associati. Il fenomeno Covid ha destato, giustamente, grande allarme come minaccia alla salute e all’economia, meno ha rilevato il fatto che questa fase emergenziale ci abbia anche offuscato l’orizzonte e impedito di vivere, con la conseguenza di un progressivo isolamento sociale e perdita di abitudini di vita e di lavoro.
L’attuale situazione, secondo opinione di psicologi, può determinare anche reazioni emozionali tipiche delle persone: da una parte il timore, la paura, l’angoscia, dall’altra aspetti emozionali positivi come l’empatia, la solidarietà e l’esigenza di rafforzare i legami interpersonali.
Non vi è solo la difficoltà di progettare il futuro, ma il Covid sta diffondendo anche un diverso atteggiamento mentale, in una realtà in cui cambia la percezione degli altri e in cui i reciproci comportamenti sono influenzati da un diverso grado di percezione del rischio e di avversione al rischio, le cui soglie possono variare da persona a persona. Il senso di appartenenza alle nostre Associazioni, sarà, ora più che mai, collegato alla risposta che si saprà dare ai bisogni e alle aspettative dei colleghi, dalla tutela dei posti di lavoro al mantenimento del welfaredi categoria.
In tale contesto di cambiamento, può venirsi a trovare quel passaggio generazionale che coinvolge, di volta in volta, le associazioni che funzionano, necessariamente, grazie anche a un significativo apporto di volontariato attivo.
La volontà di passare il testimone da parte degli “uscenti” e di accettare da parte dei “successori” la gestione e la responsabilità di un’associazione, fa sì che ci si trovi di fronte a un altro punto di partenza: passato, presente e futuro si toccano, ognuno con il proprio specifico bagaglio di visioni, di sensibilità e di competenze specifiche.
Oggi per lavorare meglio, ad alto livello di efficienza, in qualsiasi associazione di volontariato è necessaria la combinazione di senso di responsabilità e di un diretto e spontaneo rapporto relazionale fra i soci. Questo fornisce un modello di gestione condivisa, nel quale i responsabili dell’ente associativo praticano un metodo dal “chi fa cosa” quasi autogestito, in cui ruoli e responsabilità possono risultare in parte comuni a tutti, perché privi di competenze specifiche, altri sono da attribuire a posizioni specifiche per la competenza o per il ruolo legale/istituzionale svolto.
Anche nostre Associazioni territoriali, prima o poi, entrano in una fase di passaggio, in cui figure di riferimento di lungo periodo devono passare la mano per età, per cambiamenti organizzativi, o mutamenti di contesto culturale.
Per questo va individuata, per tempo, una soluzione organizzativa fondata su figure di garanzia, che assicurino la necessaria transizione culturale, in primis il presidente, affiancato da collaboratori nelle varie attività di servizio dell’associazione, che svolgano il proprio compito con un alto grado di autonomia operativa. Si forma così una gestione interfunzionale in cui ogni referente responsabile assicura l’efficienza e l’efficacia del servizio reso agli associati.
I fattori che si combinano nella fase di passaggio generazionale sono numerosi. Si può constatare come, nel tempo, si è definita l’opportunità di passare dalle “persone determinanti” agli “strumenti determinanti” per il buon funzionamento di un’associazione, per cui il futuro (di ogni associazione) non è da considerarsi semplicemente come un passaggio generazionale, ma come un importante passaggio culturale per il quale le persone “giuste” dovranno anche avere “la cultura giusta”.