Il mercato statunitense traina le esportazioni italiane, specie di macchine utensili aiutando così, assieme a una parte dell’Europa, a bilanciare il forte calo interno e il rallentamento, tuttora in atto della Germania. I dati 2024 dell’associazione confindustriale dei costruttori di macchine utensili, robot e automazione industriale, Ucimu – Sistemi per produrre, sono confermati da diverse aziende, anche del Triveneto, dopo le recenti fiere settoriali europee. La domanda è vivace in Francia e in Polonia e Romania, ma anche in alcuni Paesi nordafricani come l’Algeria, dove gli accordi di cooperazione bilaterale con l’Italia stanno aiutando le nostre aziende a posizionarsi nel mercato. È ancor più rallentata, invece, la Germania con le difficoltà dell’industria tedesca mentre il mercato che va meglio è quello americano. Gli Stati Uniti sono il più grande importatore mondiale di macchine utensili e la prima destinazione di quelle italiane (quota export 16,2% nella prima metà del 2024, dati Istat elaborati dal Centro studi Ucimu). In un periodo in cui i dazi sembrano tornare di attualità e la frammentazione dei mercati non è più solo un’ipotesi teorica è utile osservare ciò che accade. Come sappiamo l’Italia è molto collegata alla Germania. La crisi dell’automotive pesa, soprattutto nel Nordest italiano dove molte aziende metalmeccaniche sono fornitrici di componenti per la filiera auto tedesca. A ciò si aggiunga l’avvio estremamente lento di Industria 5.0 per la transizione energetica e digitale: il valore delle domande presentate sinora è di 100 milioni di euro rispetto ai 6,3 miliardi di crediti d’imposta a disposizione. Non serve aggiungere altro.
Ci sono aziende che vorrebbero investire in beni strumentali perché operano in settori con buone prospettive, come i settori del riscaldamento e della ventilazione, ma Industria 5.0 si sta rivelando un fallimento a causa della pesantissima complessità burocratica. Per accedere ai benefici fiscali previsti servono perizie di asseverazione sia preventive sia consuntive sugli impatti in termini di risparmio energetico dell’intero processo aziendale in cui vanno a operare i macchinari in oggetto.
Si sono fermate soprattutto le piccole imprese abituate alla maggiore semplicità di Industria 4.0. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy si è detto disponibile a semplificare, ma i tempi sono strettissimi. Intanto calano le previsioni di assunzione in Friuli Venezia Giulia, ed è un segno meno legato per intero alle incertezze del manifatturiero. A dirlo, stavolta, è il rapporto mensile Excelsior-Unioncamere di novembre 2024, elaborato dal Centro studi della Camera di Commercio di Pordenone e Udine, che evidenzia una flessione nel trimestre novembre 2024-gennaio 2025.
Le stime relative al Friuli Venezia Giulia sono in linea con l’andamento rilevato a Nord Est e a livello nazionale: 23.920 le assunzioni previste tra novembre e gennaio, con una flessione di 1.230 rispetto a dodici mesi fa. Sia il dato mensile che quelle trimestrale mostrano un andamento divergente tra l’industria e i servizi: se nel terziario le previsioni di assunzione sono in lievissima crescita, le imprese del manifatturiero prevedono 1.300 entrate in meno nel trimestre. È un momento di complessità generale per quanto riguarda l’industria, che risente maggiormente della situazione geopolitica e delle difficoltà su alcuni mercati come la Germania. Resta, invece, un segno positivo nel comparto dei servizi che, anche numericamente, registra la maggior parte delle nuove assunzioni.
Il reperimento di personale si conferma non facile in quanto più di un’impresa su 2 prevede problemi di recruiting, con percentuali di difficoltà che vanno dal 42% medio delle professioni non qualificate e il 51% dell’area impiegatizio-commerciale al 65% di dirigenti e tecnici e al 67% degli operai specializzati. Nell’ambito dei titoli di studio, più difficili da trovare gli ingegneri elettronici e informatici. Mancano anche tecnici, periti, operai edili, elettricisti e riparatori.
Daniele Damele
Presidente Federmanager e Cida FVG