I segnali che giungono sullo stato dell’economia europea non sono confortanti. A risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro. Lo scenario è ormai di stagnazione, ovvero bassa crescita. La Bce si prepara a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, ma i dati confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca che penalizza l’Italia e l’intero continente.
L’opinione condivisa dagli analisti evidenzia che il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. La manifattura nel Nordest Italia nel terzo trimestre del 2024 continua a mostrare segni di debolezza: al calo tendenziale ha contribuito maggiormente la decisa flessione delle vendite in Italia. I motivi dell’andamento del manifatturiero triveneto, a forte vocazione esportatrice e che importa per trasformare, sono molteplici. Il costo del gas naturale, anche se lontano dai livelli dell’agosto 2022, è tre volte superiore rispetto al 2019 ed è il quadruplo rispetto a quello negli Usa.
La crisi della Germania, che ha perso oltre il 9% della sua produzione industriale dal 2019 a oggi, si riflette sulle imprese italiane essendo lo Stato tedesco il principale partner commerciale. Il Nord Est è tradizionalmente grande fornitore dell’industria finale tedesca. Se loro sono in crisi noi siamo penalizzati. Ormai in Germania è il secondo anno di stagnazione economica, non possiamo essere contenti di ciò. Sarebbe auspicabile che Berlino tornasse a fare la locomotiva dell’Europa. Guerre, incertezza e apprensione del consumatore non aiutano. Per acquistare un bene durevole, la gente ha bisogno di essere tranquilla, ovvero di avere prospettive e sicurezze.
Le normative legate al Green Deal prevedono tappe troppo ravvicinate e i cui costi saranno a carico di imprese e famiglie. Senza industria non c’è sviluppo e lavoro, perché verrebbe meno la componente più vitale dell’economia, quella che innova e che compete sui mercati internazionali e che contribuisce in modo determinante al nostro sistema di welfare. È, quindi necessaria una visione auspicabilmente all’interno di una coerente cornice europea per il rilancio della competitività
Serve una chiara politica industriale per dare un impulso deciso agli investimenti e aumentare la produttività per non disperdere quello slancio che il nostro manifatturiero ha mostrato immediatamente dopo la pandemia. Una visione prospettica, che dovrà includere anche il nucleare di nuova generazione, l’unica alternativa percorribile per una decarbonizzazione realistica.
In altre parole la priorità dovrebbe essere quella di rafforzare la competitività del prodotto industriale made in Italy. Solo così potremmo preservare un pezzo importante dell’industria italiana e del Nord Est.
Qui c’è sempre stata ed esiste, infatti, una forte presenza di aziende metalmeccaniche attive nella realizzazione di componenti e prodotti, vocate alla sub fornitura industriale. La manifattura è, come accennato, decisamente importante nel nostro territorio, ma in questo momento siamo in linea con il resto d’Italia nel rilevare una scarsa attività delle aziende, con difficoltà ancora maggiori in particolare per quelle che operano nella filiera dell’automotive.
L’Europa è vocata all’esportazione, dobbiamo evitare quindi di innescare guerre commerciali. Resta per noi indispensabile il fatto di mantenere competitiva e difendere tutta la filiera industriale e in particolare quella finale. L’Unione deve preoccuparsi che non prosegua la deindustrializzazione della sua economia. Non possiamo vivere solo di turismo o del terziario in generale, è doveroso mantenere robusta la manifattura in un’ottica manageriale. In passato abbiamo perso tantissimo in questo settore, prima ci si è spostati verso l’Est Europa, ma adesso si dismettono le fabbriche anche là.
E se l’Europa vuole diventare più unita deve mettere in comune aspetti non secondari come quello energetico. Ci sono ancora troppe differenze tra i costi dell’energia da un Paese all’altro. Va auspicato un costo unitario, che non penalizzi singoli Paesi come sta avvenendo per l’Italia, ci vorrebbe uno sforzo comune.
Il 2025 sarà un anno ancora molto complicato, soprattutto all’inizio, perché non si vede ancora una ripresa della domanda. Qualche segnale di inversione di tendenza e di ripresa potremmo riscontrarlo nel secondo semestre, ma occorre agire adesso per raggiungere quest’obiettivo.
Daniele Damele
Presidente Federmanager FVG