La morale della favola della Cicala e della Formica è che è fondamentale lavorare sodo e pianificare il futuro, in sostanza, la morale è un elogio del lavoro e della fatica, un invito alla prudenza e alla responsabilità. Il dirigente formica è un lavoratore diligente, un alto contributore IRPEF, che viene penalizzato nel tempo.
Il Contributore Forte, il Pensionato Debole.
I dirigenti, durante la loro carriera, rappresentano una delle categorie più rilevanti in termini di contribuzione fiscale. Con salari elevati, spesso frutto di anni di impegno e responsabilità, versano una quota significativa di IRPEF, alimentando il sistema economico e previdenziale del Paese. Tuttavia, questa stessa categoria si ritrova, una volta in pensione, a subire una riduzione del potere d’acquisto che non rispecchia il contributo versato nel corso degli anni.
Un alto contributo, un ritorno ingiusto: I dirigenti pagano le aliquote IRPEF più alte, contribuendo in modo significativo alle entrate fiscali dello Stato, le normative pensionistiche hanno progressivamente ridotto le loro pensioni, limitando l’adeguamento all’inflazione. Il risultato? Un pensionato che, nonostante abbia contribuito più di altri, si ritrova con una pensione erosa dal tempo e dalle politiche restrittive.
Per un dirigente in pensione la perdita di potere d’acquisto si somma anno su anno, si somma alla perequazione dell’anno seguente, CIDA ha valutato questa perdita, in 20 anni di tagli, pari al 30%.
Situazione che ha inciso pesantemente sulle spese quotidiane, rendendo le pensioni meno adeguate rispetto agli stipendi attuali., molti pensionati riferiscono un cambiamento drastico nel proprio tenore di vita, passando da una stabilità economica a una situazione di costante preoccupazione.
La mancata equità nel sistema previdenziale alimenta una disparità tra chi ha contribuito di più e chi beneficia di un trattamento più favorevole.
Secondo Valter Quercioli, presidente di Federmanager, “le fasce che rappresentiamo hanno perso più potere d’acquisto di quelle a minor reddito”, mentre “chi aiuta l’imprenditore a creare ricchezza deve avere il giusto riconoscimento”, siamo “un gruppo sociale decisivo per lo sviluppo del sistema”.
La figura del dirigente formica, sempre pronto a contribuire e a sostenere il sistema fiscale, si ritrova in pensione con una realtà ben diversa da quella attesa. Serve un intervento mirato per riequilibrare la situazione e garantire un trattamento pensionistico più giusto. Ecco perché è fondamentale sensibilizzare chi governa affinché vengano introdotte misure di perequazione più eque.
Le Conseguenze Sociali ed Economiche.
La perdita di potere d’acquisto subita dai dirigenti pensionati non è solo un problema individuale, ma ha ripercussioni su più livelli: un sistema previdenziale che penalizza chi ha contribuito in modo significativo genera disuguaglianze e mina la stabilità economica e sociale.
I dirigenti, abituati a una certa stabilità economica, si trovano costretti a rivedere le proprie spese, il costo della vita aumenta, ma le pensioni non seguono un adeguamento proporzionale, di conseguenza la qualità della vita cala, portando molti pensionati a rinunciare a spese importanti.
Tutto ciò genera effetti più generali su consumi e sull’economi.
Una fascia di popolazione con reddito ridotto tende a consumare meno, riducendo la domanda interna, settori come turismo, ristorazione, servizi e investimenti immobiliari risentono di questa perdita di capacità di spesa.
Se le pensioni più alte vengono ridotte progressivamente, il sistema rischia di perdere credibilità agli occhi dei futuri lavoratori. Sempre meno persone saranno incentivate a contribuire in modo rilevante, generando un effetto a catena sulla sostenibilità del sistema. Si alimenta così la fuga di talenti, spingendo professionisti qualificati a cercare opportunità in Paesi con sistemi previdenziali più equi.
Sentenza 19/2025 della Corte Costituzionale: due punti fondamentali.
La sentenza della Corte mette in luce criticità che non possono essere ignorate, ossia l’assoluta discrezionalità del legislatore rispetto agli indici di rivalutazione.
Questo è un dato grave, perché significa che le regole sulle pensioni possono cambiare arbitrariamente, con il rischio concreto di assegni più bassi e tasse più alte per chi ha versato contributi per una vita intera.
La Corte ha sottolineato chiaramente che tutto il sistema trarrebbe vantaggio da una «disciplina più stabile e rigorosa» del meccanismo di perequazione delle pensioni. Ecco perché il nostro obiettivo è costruire, con il decisore politico, un quadro normativo più equo e meno soggetto a incertezze.
Due i punti sui quali si deve incentrare la nostra azione verso il decisore politico.
Secondo la Corte, il meccanismo legislativo non è irragionevole perché salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità e, per un periodo limitato, riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre al crescere degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell’inflazione. Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti.
Per agire concretamente sulla base della Sentenza possiamo seguire due linee strategiche fondamentali, che emergono dai punti evidenziati.
Sfruttare il concetto di “periodo limitato” per ottenere una revisione anticipata.
La Corte ha riconosciuto che la riduzione progressiva dell’indicizzazione delle pensioni più alte è temporanea, ma non ha fissato un termine preciso. Questo offre spazio per un’azione mirata con l’obiettivo di:
− Monitorare l’effetto reale della riduzione perequativa, raccogliendo dati e testimonianze sui pensionati colpiti.
− Dimostrare che l’impatto è più pesante del previsto, soprattutto a fronte dell’inflazione attuale, con studi economici e confronti statistici.
− Chiedere una revisione anticipata della misura, accelerando la fine del periodo transitorio con proposte legislative e petizioni indirizzate al governo e ai parlamentari competenti.
− Evidenziare le incongruenze tra il principio di equità e la progressività della riduzione, dimostrando che il concetto di “maggiore resistenza delle pensioni elevate” non considera il reale costo della vita.
Spingere affinché il legislatore tenga realmente conto delle perdite nelle future manovre
Il secondo punto della sentenza afferma che le perdite delle pensioni soggette alla riduzione dovrebbero essere considerate in eventuali future manovre di indicizzazione. Questo aspetto offre una leva importante per azioni di pressione politica e istituzionale:
− Proporre una compensazione futura: chiedere che nelle prossime leggi di bilancio sia previsto un adeguamento straordinario per recuperare almeno in parte le perdite subite.
− Creare un osservatorio pensionistico: un ente o gruppo di esperti che misuri il gap creato dalla riduzione dell’indicizzazione e produca report ufficiali da presentare alle istituzioni.
− Avanzare richieste concrete ai decisori pubblici, basate sui dati raccolti, affinché il criterio “tenere conto delle perdite” sia effettivamente implementato e non resti solo un principio teorico.
− Coinvolgere associazioni di categoria e sindacati, affinché sostengano la necessità di una revisione della perequazione nelle prossime riforme previdenziali.
Quali Strade per il Futuro? Trasformare il principio giuridico in realtà politica.
La Corte ha stabilito un quadro giuridico che non chiude la porta a una revisione futura della perequazione.
I dirigenti rappresentano una parte fondamentale dell’economia italiana. Con dedizione, responsabilità e sacrifici, hanno contribuito al progresso delle imprese, delle istituzioni e del settore pubblico. Eppure, oggi ci ritroviamo a denunciare una realtà preoccupante: chi ha versato una quota significativa di IRPEF per decenni, si vede privato di una pensione adeguata al costo della vita. La perequazione, anziché garantire equità, ha penalizzato chi ha lavorato con impegno e ha sostenuto il sistema fiscale con contribuzioni elevate.
Il Paradosso del Dirigente Formica: abbiamo sempre contribuito di più, pagato più tasse. versato più risorse allo Stato, ma oggi, quel contributo viene ignorato. La perequazione che dovrebbe garantire equità, di fatto ci penalizza. Perché? Perché le politiche previdenziali hanno via via tagliato fuori chi ha costruito il sistema produttivo italiano. È un paradosso insostenibile!
È una questione di equità e di rispetto per il contributo che ogni lavoratore ha dato nel corso della propria vita.
Daniele Damele, presidente Federmanager FVG
Antonio Pesante, responsabile Gruppo Pensionati Federmanager FVG
Fulvio Sbroiavacca, consigliere nazionale Federmanager