Il presente articolo tratta il caso di un licenziamento illegittimo di un dirigente che, in sede di Consiglio di amministrazione della società di cui era dipendente, ha sollevato contestazioni in relazione al bilancio di esercizio.
Il focus dello scritto non vuole essere prettamente il tema del licenziamento, quanto quello del diritto di critica e di dissenso da parte del dirigente in sede di organizzazione aziendale.
La vicenda di interesse è oggetto della sentenza n. 355/2023 emessa nel giudizio di rinvio dalla Corte d’Appello di Milano (sez. lavoro).
Nello specifico, il rapporto di fiducia che caratterizza il rapporto di lavoro dirigenziale, non può essere causa della compressione del diritto di critica, dissenso e denuncia esercitabile dal preposto. Infatti, nel caso in cui il dirigente eserciti, nelle sedi appropriate e in maniera non pretestuosa, il diritto al dissenso, ai sensi dell’art. 2392 del codice civile, non si può ritenere giustificato il suo licenziamento.
Nel caso in esame, il dirigente, fin dai primi giorni del suo ingresso in azienda, aveva manifestato riserve sulla valutazione di alcune poste contabili inserite nella bozza di bilancio e in seguito, in sede di riunione del Consiglio di amministrazione, le aveva espresse tramite lettura di uno scritto.
Successivamente a tali circostanze, il dirigente si vedeva notificare una contestazione disciplinare, in cui veniva redarguito sulla carenza di fondamento degli illeciti da lui “denunciati” in sede di CdA, a cui seguiva il licenziamento motivato dalla frattura dell’elemento fiduciario, ritenuto elemento particolarmente significativo nel rapporto dell’azienda con le figure dirigenziali.
I giudici di prime cure riscontravano la giusta causa di cui si era avvalsa l’azienda ritenendo che la facoltà del dirigente “anche solo al fine di evitare di concorrere nelle responsabilità proprie della figura del direttore generale”, di manifestare dubbi sul bilancio, non legittimava il lavoratore a pubblicizzare le proprie perplessità.
In realtà, la Cassazione ha riscontrato nel comportamento del dirigente, l’esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica ex art. 21 della Costituzione e ha sostenuto che solo un intento calunnioso avrebbe potuto giustificare un licenziamento per giusta causa.
Inoltre, il lavoratore era legittimato ad esprimere il proprio dissenso in sede di riunione del CdA in base alle norme degli articoli 2392 e 2396[1] c.c. Nello specifico, l’art. 2392 non prevede che il dissenso debba essere documentato, né che debba essere rivolto ad atti necessariamente definitivi o in assenza di disponibilità degli interlocutori ad apportare modifiche.
Per quanto sopra riportato, è doveroso negare rilevanza disciplinare alla condotta del Dirigente che ha agito rispettoso degli artt. 2392 e 2396 c.c.
Il caso in esame non è isolato, infatti la Corte di cassazione nella sent. 15749/2002 aveva escluso la giustificatezza di un licenziamento di una dirigente determinato dal fatto che la stessa aveva espresso alcune perplessità in relazione alla regolarità contabile e fiscale del bilancio della società di cui era dipendente, dal momento che il comportamento della dirigente non era pretestuoso ed era stato esercitato nelle sedi appropriate.
Dunque, nemmeno il particolare legame fiduciario che caratterizza il rapporto dirigenziale può determinare automatiche compressioni al diritto di critica, di denuncia e di dissenso spettante al preposto se non costituenti illecito.
In conclusione, dunque, quale conseguenza dell’ingiustificatezza del licenziamento, il dirigente ha avuto diritto a vedersi riconosciute l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità supplementare (comprensive di ferie, permessi per ex festività, festività e TFR).
Avv. Pietro Mussato
[1] Direttori Generali. Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società.