Dopo oltre un anno dall’entrata in vigore del Decreto Cura Italia non si è giunti ancora ad una risposta definitiva circa l’applicabilità o meno ai dirigenti della sospensione dei licenziamenti prevista (con successivi interventi normativi) sino al 30 giugno 2021 per chi beneficia della Cassa Integrazione Ordinaria e sino al 31 ottobre 2021 per le imprese che possono usufruire della Cassa Integrazione in Deroga.
E’ necessario quindi tornare nuovamente sull’argomento, analizzando le pronunce giurisprudenziali che si sono susseguite in questi ultimi mesi e che in realtà, invece di fare chiarezza, hanno dato vita a posizioni diametralmente opposte.
In particolare, con ordinanza del 26 febbraio 2021 il Tribunale di Roma si è espresso a favore di una interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata della normativa emergenziale, ritenendo di conseguenza applicabile il blocco dei licenziamenti anche alla figura dirigenziale.
Come si era auspicato, infatti, il Giudice romano, focalizzandosi primariamente sulla ratio di tale normativa, ha rilevato che l’intervento legislativo in parola è finalizzato a tutelare tutti i lavoratori, senza distinzioni di categoria, dalle ripercussioni economiche dovute alla pandemia, che si sono tradotte in una perdita massiccia dei posti di lavoro.
Di conseguenza, secondo il citato orientamento, anche il licenziamento del dirigente motivato da ragioni di natura economica ed organizzativa deve intendersi precluso per tutto il periodo di sospensione.
Tale decisione, tuttavia, è stata totalmente ribaltata nell’arco di pochi mesi dallo stesso Tribunale di Roma, il quale con sentenza n. 3605/2021 del 19.04.2021 ha deciso di opporsi al blocco dei licenziamenti per i lavoratori apicali, considerando tale disposizione come non applicabile ai dirigenti.
Le motivazioni di un siffatto orientamento sono state sostanzialmente due: da un lato, il dato strettamente letterale per cui, ai sensi dell’art. 46 Decreto Cura Italia, il datore di lavoro non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo indicato all’art. 3 Legge 604/66 – disposizione quest’ultima pacificamente non applicabile ai dirigenti; e dall’altro, si è tenuto conto della maggiore coerenza dell’esclusione del dirigente con lo spirito che sorregge l’eccezionale ed emergenziale previsione di sospensione dei licenziamenti durante la pandemia.
Nel dettaglio, il Tribunale di Roma – introducendo un elemento nuovo rispetto alle precedenti pronunce – ha rilevato la chiara ed evidente simmetria tra il blocco dei licenziamenti e il soccorso della collettività attraverso gli ammortizzatori sociali (Cassa Integrazione) a cui possono ricorrere le aziende per tamponare le perdite e garantire la stabilità occupazionale dei lavoratori, di fatto imposta dalla normativa emergenziale. Simmetria che in realtà non può stare in piedi nel caso dei dirigenti per i quali, in costanza di rapporto di lavoro, non è consentito accedere agli ammortizzatori sociali.
Se quindi si volesse estendere il blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, il datore di lavoro si troverebbe privo di una soluzione sostitutiva che gli permetta di garantire reddito e tutela occupazionale ai propri dipendenti senza costi aggiuntivi – costi dei quali, nel caso dei dirigenti, sarebbe costretto a farsi carico pur in presenza di motivi utili a giustificarne il recesso.
Secondo la più recente decisione del Tribunale di Roma, pertanto, l’applicabilità di tale normativa emergenziale alla categoria dei dirigenti implicherebbe una irragionevole compromissione della libertà economica dell’impresa.
Vista quindi l’incertezza interpretativa e le diverse posizioni giurisprudenziali, la possibilità del datore di lavoro di licenziare il dirigente dovrà essere valutata caso per caso, analizzando nel dettaglio le modalità operative che hanno determinato il recesso.