In linea generale nel nostro ordinamento vige il principio di irrinunciabilità delle ferie e il divieto di monetizzazione delle stesse quando non vengano fruite dal lavoratore.
In tale senso si esprimono l’art. 36 comma 3 della Costituzione, l’art. 10 comma 2 del D.Lgs. n. 66/2003 nonché numerose pronunce giurisprudenziali, tutte finalizzate a garantire il godimento effettivo delle ferie da parte del dipendente quale strumento per la tutela della salute psico-fisica.
Tale periodo di riposo obbligatorio, infatti, sarebbe del tutto vanificato qualora fosse consentita tout court la sostituzione delle ferie non godute con un’indennità di natura economica, in quanto ciò non permetterebbe al lavoratore di “ricaricare le batterie” e reintegrare le proprie energie – condizioni fondamentali per la tutela della salute e della sicurezza del dipendente.
Un’unica eccezione è prevista nel caso di cessazione del rapporto di lavoro, dovuta ad esempio a dimissioni, licenziamento o raggiungimento dell’età pensionabile. Solo in questa ipotesi, essendo impossibile la fruizione materiale del periodo di ferie, sarà permesso al datore di lavoro di monetizzare le ferie non godute dal lavoratore, riconoscendogli nell’ultima busta paga una indennità sostitutiva corrispondente ai giorni di riposo non fruiti.
Ma cosa succede nell’ipotesi in cui si tratti di un dirigente?
Come spesso accade, in ragione della posizione apicale del ruolo dirigenziale e della sua maggiore autonomia, la figura del dirigente viene disciplinata in modo diverso rispetto agli altri lavoratori subordinati.
Sul punto si è recentemente espressa la Corte di Cassazione affermando che il dirigente, il quale “pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto all’indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive” (Cass. Civ. 10.10.2017 n. 23697).
In altre parole, poiché il dirigente ha il potere di decidere se e quando godere delle ferie, l’eventuale mancata fruizione di tale periodo di riposo non potrà essere imputato all’inadempimento colpevole del datore di lavoro – che su tale scelta nulla ha dipeso – e non si potrà giustificare la tutela civilistica generalmente riconosciuta di pagamento dell’indennità sostitutiva.
Si deve precisare, tuttavia, che non tutti i dirigenti hanno il potere di gestire in autonomia le proprie ferie, ossia senza il condizionamento del datore di lavoro, il quale dipende dal ruolo più o meno apicale rivestito del dirigente in azienda.
La presunzione di spettanza del potere di autodeterminazione delle ferie per i dirigenti, pertanto, non è assoluta ma relativa, potendosi prospettare figure di dirigenti privi di tale prerogativa, per i quali è il datore di lavoro a dovere decidere e comunicare in forma scritta le ferie, precisandone ore e periodo di fruizione in conformità alle esigenze aziendali.
Solo in tale caso, quindi, il mancato godimento delle ferie può essere imputabile al datore di lavoro con diritto del dipendente all’indennità sostitutiva.
In conclusione, al fine di essere esonerato da qualsiasi responsabilità per il mancato godimento del periodo di riposo annuale del dipendente, spetterà al datore di lavoro di provare la piena autonomia decisionale del dirigente nel determinarsi le ferie.
Mentre, allo scopo di ottenere la liquidazione dell’indennità sostitutiva, ricadrà sul lavoratore, sebbene inquadrato come dirigente, l’onere di dimostrare o l’assenza della suddetta autonomia decisionale oppure, se nel possesso di tale potere, di non aver potuto fruire delle ferie a causa di oggettive ed eccezionali esigenze aziendali a lui non imputabili.