Il dato normativo di riferimento, ossia l’art. 17, comma 5 del D.lgs 66/2003, potrebbe far ritenere in prima battuta che il dirigente non abbia diritto a percepire un maggior compenso per lo straordinario svolto.
In generale, infatti, nel rispetto dei principi di protezione della sicurezza e della salute dei lavorati il legislatore esclude “i dirigenti, il personale direttivo delle aziende o le altre persone aventi potere di decisione autonomo” dall’applicazione delle disposizioni in materia di orario normale di lavoro, durata massima dell’orario lavorativo, lavoro straordinario e riposo giornaliero.
Tale esclusione è motivata dalla natura singolare degli obblighi e delle mansioni demandate alle figure dirigenziali, quali soggetti dotati di particolari conoscenze tecnico-professionali e non tenuti all’osservanza di un orario di lavoro rigido o predeterminato a fronte di un’ampia libertà decisionale ed autonomia organizzativa.
Infatti, le prestazioni lavorative eseguite dal dirigente sono rilevanti più da un punto di vista qualitativo che quantitativo; da ciò si desume generalmente l’assenza di riconoscimento al dirigente del lavoro straordinario prestato.
Ma in relazione a tale questione, la giurisprudenza, volta a dirimere fattispecie concrete, non sembra pienamente concorde con il dato normativo.
Già la Corte Costituzionale, in tempi ormai risalenti (Cort. Cost. n. 101/1975), ha ritenuto necessario e opportuno individuare un limite quantitativo massimo di orario oltre il quale l’attività svolta dal dirigente diventa “non più ragionevole” in rapporto alla tutela della salute e dell’integrità psicofisica del lavoratore.
Successivamente la giurisprudenza di legittimità (Cass. N. 3680/1990) ha riconosciuto il diritto al compenso per il lavoro straordinario nelle ipotesi in cui il superamento dell’orario di lavoro sia tale da rendere la prestazione lavorativa “particolarmente gravosa e usurante” per il dirigente.
In tempi più recenti la Corte di Cassazione ha affermato che al dirigente spetta lo straordinario quando la durata delle prestazioni aggiuntive richieste si prolunghi in maniera tale da creare un disquilibrio rispetto alle effettive e specifiche esigenze dell’azienda cui il dirigente è addetto (Cass. n. 16041/2008).
Ed ancora, il compenso per il lavoro straordinario spetta al dirigente quando gli vengano richieste prestazioni prolungate con carattere di continuità, oltre un certo limite, in contrasto con il diritto costituzionalmente protetto al ripristino delle energie lavorative oppure quanto sia la stessa contrattazione collettiva a stabilire un orario normale di lavoro e tale orario venga in concreto oltrepassato dal dirigente (Cass. n. 12687/2016).
E’ bene ricordare, a questo punto, che in caso di contenzioso graverà sul dirigente l’onere di provare l’effettiva prestazione di lavoro straordinario svolta ed il superamento del limite di ragionevolezza, documentando in maniera specifica e rigorosa le ore di lavoro prestate in più rispetto all’ordinario.
La parola definitiva, quindi, spetta al giudice, il quale sarà chiamato a valutare nel caso concreto se i supporti documentali forniti dal dirigente siano sufficienti e precisi per poter parlare di lavoro straordinario e diritto al maggior compenso.
In conclusione, pur rilevando il ruolo decisivo rivestito negli anni dalla giurisprudenza nel riconoscimento del diritto al compenso per il lavoro straordinario del dirigente, non sussiste una risposta univoca al quesito, ma si deve fare riferimento ai singoli casi concreti, nei quali, a seconda delle circostanze specifiche rilevate, sarà possibile accertare il diritto del dirigente allo straordinario.