L’OBBLIGO DI “REPECHAGE” È ESCLUSO – Ordinanza n. 2895 del 2023
Con il termine repêchage si fa riferimento all’obbligo gravante sul datore di lavoro di ricollocare il lavoratore in altro ruolo e/o posizione all’interno dell’azienda in caso di licenziamento collettivo, oppure giustificato da motivi inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
È opportuno precisare che la legge non parla di repêchage; pertanto, lo stesso risulta essere un principio di creazione giurisprudenziale strettamente connesso alla necessità di tutelare il lavoratore nonché di legittimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ex art. 3 della legge n. 604/1966).
Ed invero, qualora dovessero presentarsi nell’esercizio della propria attività d’impresa, esigenze di riorganizzazione aziendale o semplicemente economiche, il datore di lavoro, può procedere legittimamente a licenziamento per soppressione di posizione di lavoro, salvo che, rispetti il s.d. obbligo di repêchage, ovverosia vagliare, prima di procedere a un tanto, tutte le possibilità di ricollocazione all’interno dell’azienda del lavoratore in esubero o divenuto inidoneo alle mansioni assegnategli.
Tuttavia, secondo la Suprema Corte questo obbligo non vale per i dirigenti di azienda!
Di fatto, il licenziamento per esigenze di ristrutturazione aziendale del dipendente con qualifica di dirigente di azienda esclude l’obbligo/possibilità di repêchage.
Tale esclusione viene precisata e confermata da recente Cassazione, la quale, con la pronuncia n. 2895 del 2023, ribadisce che:
“… per i dirigenti è esclusa la possibilità del ripescaggio: ai fini della legittimità del licenziamento è sufficiente la c.d. “giustificatezza” del recesso …”
Un tanto è motivato dalla natura singolare delle mansioni demandate al dirigente, la cui figura si differenzia nettamente da quella del lavoratore dipendente: sia per il suo elevato grado di professionalità e autonomia nonché, per il potere decisionale che riveste all’interno della compagine aziendale.
Ed è proprio in virtù di tale “potere” che il licenziamento del dirigente NON è assistito dalle tutele previste per le altre categorie di lavoratori di cui alle Leggi n. 604/1996 e n. 300/1970.
Nello specifico, secondo la Cassazione in esame per il dirigente è esclusa la possibilità del repêchage in quanto incompatibile con la posizione rivestita, che ricordiamo essere assistita da un regime di libera recedibilità (possibilità di licenziamento ad nutum).
Di fatto, per il licenziamento del dirigente, l’unica garanzia prevista è l’obbligo di preavviso (ex art. 2118 c.c.), che, tra l’altro, svanisce nel momento in cui intercorre una giusta causa che legittima il c.d. licenziamento in tronco (ex art. 2119 c.c.).
Sul punto, la Cassazione, con la sentenza n. 1960 del 2023 si sofferma sulla nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente che, non coincide con il giustificato motivo oggettivo applicabile (ai sensi della legge 604/1966) alle altre categorie di lavoratori dipendenti che non rivestono la qualifica di dirigente.
Per la Cassazione, il licenziamento del dirigente avvenuto in presenza di una situazione di crisi è pienamente giustificato qualora lo stesso si fondi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale.
Ed invero, la Cassazione ha affermato che “è sufficiente, ai fini della giustificazione del licenziamento del dirigente, la dimostrazione da parte del datore di lavoro, dell’avvenuta riorganizzazione aziendale e del fatto che essa era tale da coinvolgere la posizione del dirigente…”
In buona sostanza il licenziamento del dirigente è giustificato quando avviene in virtù di scelte imprenditoriali caratterizzate dal parametro di correttezza e buona fede.
Ed è proprio in virtù della differenza tra la nozione giurisprudenziale di “giustificatezza”, prevista per i dirigenti, e quella di giustificato motivo oggettivo prevista per le altre categorie di dipendenti, che la normativa esclude l’applicabilità al dirigente del cd. obbligo di repêchage.
In conclusione, questa decisione rafforza la libertà organizzativa del datore di lavoro ma segnala anche una sorta di disparità di trattamento tra il dipendente e il dirigente e, di fatto, sorge spontanea la riflessione che la mancata valutazione della concreta possibilità di utile ricollocazione del dirigente licenziato sembrerebbe in un certo qual modo configurare una violazione di quei principi di correttezza e buona fede posti a fondamento della verifica della giustificatezza del recesso.
Avv. Pietro Mussato