Per realizzarlo occorre investire e puntare su manager e lavoratori
L’economia delle imprese italiane ha chiuso il 2023 meglio delle previsioni, anche grazie al Nord Est, che ha saputo mostrare segnali di resilienza nonostante la situazione di estrema incertezza. È quanto emerge da un nuovo indicatore economico al quale ha lavorato anche la triestina Modefinance.
Alla recente presentazione di Rtt (Real time turnover), messo a punto dai Giovani Imprenditori di Confindustria in collaborazione con Teamsystem (controllante di Modefinance) è stato reso noto uno strumento in grado di stimare la dinamica dell’attività economica, in tempo reale, a partire dal fatturato di 200 mila imprese, con focus dedicati a macro settori, territori e dimensioni aziendali.
Detto nuovo indice affiancherà l’Indagine del Centro Studi Confindustria sull’attività delle grandi imprese industriali, con l’elaborazione dei dati e l’analisi degli stessi affidata a Modefinance. L’indice esordisce registrando a dicembre una crescita nell’ordine dello 0,8% per l’economia italiana, sostenuta da servizi (+2,7%) e costruzioni, nonostante la flessione nell’industria (-2,8%).
Nell’ultimo trimestre 2023, l’Rtt indica una dinamica del Pil migliore del periodo luglio-settembre. Si tratta di un esito tutt’altro che scontato a considerare il pessimismo diffuso intorno all’economia nazionale. Il Nord Est ha messo a segno una crescita dell’1,8%, che è risultata tre volte superiore a quella del Nord-Ovest e il doppio rispetto a quella del Centro.
A gennaio 2024 quasi la metà del campione di grandi imprese industriali associate a Confindustria si attende un livello di produzione stabile rispetto a dicembre (47,1% dal 33,4% nel mese precedente) mentre è negativa la percezione su aumento dei costi di produzione, condizioni finanziarie, disponibilità di materiali, impianti e manodopera.
Il Nord Est del post pandemia mostra una lieve riduzione della liquidità. Un effetto dovuto ad una pluralità di effetti, l’aumento dei costi e anche l’erosione, seppur non eccessiva, della ricchezza delle famiglie.
Secondo l’ultimo bollettino economico di Bankitalia la propensione al risparmio è salita, pur rimanendo su valori oltre un punto percentuale al di sotto di quelli antecedenti la pandemia. Ciò detto guardando i depositi delle famiglie consumatrici, Palazzo Koch mostra come i depositi bancari e il risparmio postale delle famiglie consumatrici residenti in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige abbiano segnato un calo del loro valore rispettivamente del 3,67 per cento, del 3,26 per cento e dell’1,77 per cento.
Un dato che mediando sulla base del numero delle famiglie delle tre regioni significa una perdita media di poco meno di 1900 euro per nucleo per un totale che manca dai depositi di circa 5,3 miliardi di euro totali.
Nell’ultimo anno, quindi analizzando le serie storiche trimestrali da fine settembre 2022 allo stesso periodo 2023, vale a dire l’ultimo periodo disponibile, emerge come sia cresciuto notevolmente il valore della raccolta indiretta. Un tasso che va dal 24,7% di incremento registrato in Fvg al +27,73 per cento del Veneto. Merito dell’andamento dei mercati evidentemente.
Le imprese familiari del Triveneto, com’è noto, sono tradizionalmente più chiuse. Ma i dati mostrano che, soprattutto durante il triennio del Covid 2020-2022, hanno avviato un’accelerazione nel ricambio dei loro vertici con l’ingresso di manager esterni. Alla Bocconi hanno analizzato i dati che emergono dal focus triveneto dell’ultimo Osservatorio Aub (Aidaf Unicredit Bocconi) che mostra la fotografia di un capitalismo familiare più moderno sempre più in grado di superare le crisi, che siano il Covid o le continue tensioni geopolitiche.
Le analisi mostrano che dopo i periodi di crisi le imprese familiari sono più rapide nel ripartire, in particolare perché l’assetto proprietario permette di prendere decisioni con grande rapidità. Allo stesso tempo, trattandosi soprattutto di aziende alla prima generazione, dimostrano di aver fatto proprio quell’effetto apprendimento che permette di superare i tipici punti di debolezza, in primis il passaggio generazionale.
Realizzata con il supporto di Borsa Italiana, Fondazione Angelini e Camera di commercio di Milano, l’indagine ha analizzato i bilanci 2021-22 di 11.635 aziende familiari con ricavi dai 20 milioni in su: oltre il 65% di tutte le imprese italiane.
A livello triveneto emerge che le aziende familiari sono pari al 69% della popolazione complessiva e che nel 2020 c’è stata una netta accelerazione nel ricambio al vertice con un picco del 10% in quelle di maggiori dimensioni. E i risultati sono stati decisamente buoni se si considera che hanno fatto registrare una crescita dell’occupazione del 4,2% rispetto al 2019, un dato superiore alla crescita delle aziende non familiari.
Se c’è un elemento che continua a caratterizzare le imprese del Nord Est è quello che riguarda l’età avanzata di chi guida le imprese. Dallo studio emerge infatti che nel triveneto gli amministratori delegati o i presidenti esecutivi ultrasettantenni continuano ad aumentare (sono quasi uno su tre) mentre i leader con meno di 50 anni restano ancora relativamente pochi (poco più di uno su dieci).
Inizia anche a migliorare il ricambio femminile: oltre un terzo dei CdA delle aziende familiari è composto da almeno il 33% di consiglieri donna (e poco più del 40% è composto da soli uomini), mentre l’incidenza dei CdA con almeno il 33% di donne è inferiore di 4 punti nelle aziende di maggiori dimensioni.
Anche questa XV edizione dell’Osservatorio Aub conferma che occupazione, crescita e redditività delle imprese familiari esaminate registrano tassi molto positivi in quanto questi dati ci parlano ancora una volta non solo della solidità e della spinta a investire e innovare (anche nel triennio Covid) delle aziende familiari italiane, ma anche del loro ruolo-guida nella transizione verso modelli di business etici e sostenibili. L’elemento più interessante è la correlazione tra risultati positivi e una governance più evoluta, spesso collegiale, in cui trovano spazio e voce più generazioni, generi e culture complementari, membri familiari e non, integrandosi in una diversità che arricchisce il dialogo e migliora la performance.
A questo punto non resta che privilegiare la cultura manageriale e ben sperare per il futuro anche perché le risorse pubbliche derivano esclusivamente dal buon andamento delle imprese private, specie industriali e dei servizi capaci di generare profitti e occupazione. Ecco proprio il dato dei manager e dei lavoratori dovrebbe essere sempre favorito in termini di coinvolgimento e premialità favorendo nel contempo sviluppo e crescita con investimenti in grado di arricchire imprenditori, manager e tutti i lavoratori con un orizzonte nuovo rispetto a quelli catastrofici che sempre più, ahinoi, si sentono e si vedono in giro.
Daniele Damele
Presidente Federmanager FVG