Seguire la propria inclinazione con impegno e serietà, e laddove è necessario volontà di adattamento e spirito di sacrificio senza perdere la fiducia e senza dimenticare che oltre la rivoluzione tecnologica, oltre l’inevitabile cambiamento che un mondo in questo momento senza dubbio pieno d’incertezza presenta a chi si affaccia all’età adulta e alla professione presenta, al centro di tutto rimane sempre l’umanità.
Questo l’appello che il presidente Confindustria Alto Adriatico e presidente LEF Michelangelo Agrusti si sente di rivolgere, allo spunto offerto dalla domanda del segretario CIDA FVG e presidente Federmanager FVG Daniele Damele a un ragazzo e a una ragazza adolescenti che chiederebbero cosa devono fare per scegliere bene un percorso di formazione che possa portare a un buon futuro.
L’occasione, il convegno dal titolo “Agenda 2030: le professioni del futuro” promosso da CIDA FVG (Confederazione Italiana dei Dirigenti e delle Alte professionalità) e LEF, svoltosi ieri, martedì 9 novembre, nella sede di LEF di San Vito Al Tagliamento, il cui obiettivo è stato quello di raccogliere le diverse competenze e know-how – grazie agli interventi dei partecipanti susseguitisi nel corso dell’incontro – fotografando la situazione attuale del mercato del lavoro e proponendo delle linee di indirizzo per uscire dalla crisi verso condizioni di vita che siano eque e soddisfacenti per tutti.
«Vorrei sentirti raccontare i tuoi sogni, direi a questi ragazzi», così Agrusti; «so che siete confusi, che non avete ancora un orientamento preciso. Questo orientamento purtroppo viene fatto ancora male; non è semplice, anche perché i desideri dei genitori di solito non coincidono con le capacità e le qualità dei figli». Ed è per questo, ha spiegato Agrusti, che la scuola, nella quale c’è ancora resistenza al cambiamento e dove spesso gli insegnanti esprimono resistenza a mutare opinione, «perché si è sempre fatto così», di questa evoluzione deve essere protagonista e integrare maggiormente i percorsi di studio fra università, istituti tecnici e scuole superiori di formazione, alternanza scuola-lavoro e stage formativi che siano per davvero un punto d’incontro fra formazione e professione. «Penso che i percorsi d’istruzione debbano avere tutti la stessa valenza, e che i professionisti e i tecnici vadano portati ancor di più nelle scuole a insegnare. Noi abbiamo previsto, in questa fabbrica modello all’interno della quale oggi ci incontriamo per questo convegno, una modalità di formazione e orientamento che nasce ben prima delle scuole medie. Qui ci saranno corsi per bambini, che impareranno da subito cosa significa una classe digitale, per continuare poi e a arrivare a quei quattordici anni e dare un contributo in modo che chi lascia la scuola abbia la possibilità di comprendere prima il mondo del lavoro in cui vivrà riuscendo a fare scelte consapevoli per il suo futuro. Sapendo che la necessità di continuare a studiare, a formarsi, nel suo mondo di domani non verrà mai meno e continuerà per tutta la vita». Alcune cose di questo mondo del lavoro in rapida trasformazione digitale verranno salvate, alcune cambiate, poche rivoluzionate, ha sottolineato ancora Agrusti, esortando a non dimenticare i successi che il Friuli Venezia Giulia, nel quale è stato ideato un ‘modello Pordenone’ esportato poi in tutta la Regione e diventato eccellenza: «Siamo il territorio con il più alto tasso di occupazione giovanile in Italia, perché abbiamo voluto creare un sistema di enti di studio e ricerca che ci ha consentito di arrivare a questo risultato, che non è casuale. La formazione, inoltre, non è solo finalizzata a creare un lavoratore dipendente, ma anche un imprenditore in un mondo del lavoro che non dimentica mai la qualità e l’adeguata retribuzione: ai ragazzi quindi dobbiamo fare capire questo: che saranno, che sono protagonisti della propria indipendenza in questa nostra prosopopea tecnologica e scientifica», ha concluso Agrusti, «che cerchiamo di governare. Io vedo un futuro incerto: oggi il nostro problema è governare questa incertezza, navigare in acque sconosciute. Quello che facciamo noi è scrutare quell’orizzonte, facendo ciascuno la nostra parte. Dobbiamo trovare dentro a questo mondo globalizzato la nostra peculiarità, per poterci distinguere».