E’ una frase che si legge un po’ dovunque in questa vasta area dove è sorto questo impianto davvero imponente per adeguare il sistema di trattamento delle acque fognarie cittadine ai requisiti comunitari, adottando in tal modo metodi di depurazione più moderni e aggiornati alle conoscenze del settore.
Negli anni ’30 si era costruito un primo depuratore vicino al mare, che trattava tutte la acque fognarie provenienti dalla città. Con un importante investimento negli anni 70, all’impianto era stata aggiunta una condotta sottomarina munita di diffusori negli ulti tre chilometri a mare, che aveva garantito il raggiungimento di adeguate condizioni di balneabilità in tutto il Golfo di Trieste. Tuttavia alcuni parametri non potevano essere conformi ai limiti previsti per le acque trattate ma la tecnologia non consentiva ancora di costruire un impianto in grado di trattare completamente le particolari acque provenienti dalla rete cittadina. Nel 2004 l’Unione Europea si mostrò sensibile a tale problematica venendo incontro a quei Comuni che non avevano una depurazione dei liquami a terra. Questo permise alla città di Trieste di sfruttare i nuovi regolamenti ed i nuovi finanziamenti per testare nuove tecnologie, progettare un nuovo impianto e costruirlo non senza difficoltà a causa della scarsità di spazio disponibile per questa nuova opera. Fu raggiunto un accordo quadro fra gli Enti territoriali competenti a vario titolo che permise di reperire l’area e reperire i finanziamenti necessari che si attestavano sui 52,5 milioni di Euro. Il ruolo centrale dell’opera fu affidato ad AcegasApsAmga S.p.A., società del Gruppo HERA, leader nei servizi ambientali ed in grado di gestire al meglio tutta la filiera realizzativa, ingegneristica e finanziaria. Questa affidò il progetto e la costruzione ad un team di grande competenza il cui imperativo era costruire al meglio il depuratore nel minor tempo possibile. La sfida fu quella di progettare un’opera di grandi dimensioni con una palazzina uffici e impianti di depurazione efficienti, impegnandosi a realizzarli in tempi molto brevi. Si provvide anche a collegare il vecchio impianto al nuovo, che si trovava poco distante nella stessa zona. La società indicò l’ing. Roberto Gasparetto nel ruolo di RUP dell’intervento, il quale a sua volta nominò un Team trasversale di esperti nelle diverse discipline (progettazione, gestione, finanza, legale, qualità, acquisti e appalti, comunicazione) ponendolo sotto la guida di Enrico Altran, ingegnere laureatosi all’Università di Trieste, orgoglioso del compito affidatogli. La direzione dei lavori fu affidata all’ing. Massimo Vienna a sua volta coadiuvato da un pool di assistenti esperti in Opere civili, Impianti, processo e sicurezza. Il nuovo impianto doveva permettere alla città non solo di rientrare nei limiti delle norme di legge, ma anche di poter tenere conto di miglioramenti futuri.
La progettazione dell’impianto fu inizialmente orientata a migliorare al massimo le prestazioni depurative, la flessibilità impiantistica e la facilità di manutenzione. La prima sfida puntò alla realizzazione di un impianto idoneo ad essere ospitato in un edificio coperto, con una minima estensione superficiale e per questo obiettivo furono impiegate tecnologie compatte nel corso di tutte le fasi di trattamento. Lo scopo dell’impianto consiste nella trasformazione dei reflui di scarico in flussi non dannosi per l’ambiente e l’utilizzo sicuro degli elementi di scarto. Il depuratore di Trieste opera in questo senso raccogliendo a monte del processo un volume di liquido composto da sostanze inquinanti e non salubri, trasformandolo a valle in prodotti positivi dal punto di vista ambientale. Il depuratore di Servola può essere definito una macchina intelligente perché completa il ciclo in modalità fortemente automatizzata ed ottimizzata, sia sotto il profilo energetico, sia sotto quello ambientale con minimizzazione di reagenti.
A questo impianto si è voluto dare un nuovo ruolo, passando dal tradizionale concetto della riduzione dell’impatto al più attuale concetto del Governo dell’impatto sul mare. In sostanza Servola è ora in grado di dosare il livello di trattamento per restituire al mare acque che possano contenere i nutrienti elementari di cui il biota marino ha esigenza per vivere in equilibrio stabile, trattenendo e trasformando gli inquinanti o prodotti che possano essere riutilizzati nella produzione di biogas e di emendanti per l’agricoltura. Siccome il mare vive una propria stagionalità, il nuovo depuratore è in grado di seguire il varia del relativo fabbisogno nutritivo che può conosce grazie ad un programma di ascolto del mare che viene garantito dall’ Osservatorio Geofisico Sperimentale con un programma di monitoraggio molto sofisticato durante tutta la durata dell’anno
I due soggetti AcegasApsAmga e Osservatorio Geofisico Sperimentale stanno guidando un sistema tecnologico per controllare la salute del mare con il rispetto dei limiti fissati dalle Autorità definendo il livello dei nutrienti presenti al momento dell’immissione dei reflui nel mare. L’impianto funziona in maniera intelligente poiché è stato progettato per definire il proprio livello di depurazione permettendo al mare di assorbire quando ne ha bisogno, i nutrimenti, o di minimizzare la quantità, se il sistema naturale non la richiede.
Prima fase di trattamento: il ciclo delle acque parte dalla fase di separazione delle parti più grossolane, delle sabbie e dei grassi dall’acqua che entra in impianto. A questo punto le acque vengono fatte rallentare, facendole percorrere la fase di sedimentazione primaria. Qui perdono una grossa quantità di sostanze solide che vengono raccolte sotto forma di fanghi primari.
Seconda fase di trattamento: a questo punto le acque possono essere fatte passare nel cuore del trattamento biologico vero e proprio. E’ una delle due parti più innovative del processo che avviene in 16 reattori costituiti da un ambiente ottimale per il proliferare di batteri aerobici. All’acqua reflua viene miscelata aria tramite bollicine di piccole dimensioni e viene fatta attraversare un letto filtrante, il Biofor. I batteri popolano il letto del filtro e trasformano la parte organica in molecole inorganiche che, con opportuni cicli di lavaggio, costituiscono il cosiddetto fango secondario. In questa fase i composti azotati dell’acqua vengono ossidati ed il processo viene detto nitrificazione.
Terza fase di trattamento: si passa alla terza fase, la denitrificazione che viene gestita utilizzando 8 filtri, in cui l’acqua viene fatta passare attraverso un diverso tipo di letto e in assenza di aria. La colonia batterica che si sviluppa sul letto filtrante riduce le sostanze organiche (denitrificazione). Per trattenere questi nuovi prodotti, l’acqua viene additivata di alcuni agenti chimici (sali di ferro e flocculanti) per aggregare le particelle in fiocchi coagulati di fango terziario che vengono trattenuti da un nuovo processo di sedimentazione.
Disinfezione finale: a questo punto le acque devono essere disinfettate per cui passano attraverso una serie di canali che, per evitare l’impiego di prodotti chimici che nuocerebbero al mare, sono dotati di 240 lampade a raggi ultravioletti e diventano pienamente compatibili con il copro idrico recettore, il Golfo di Trieste, che raggiungono attraverso la condotta sottomarina
Raccolta, trattamento e ispessimento fanghi: nel frattempo i fanghi raccolti nelle tre fasi di trattamento acque, vengono conferiti ad un impianto particolare, il digestore anaerobico dei fanghi. Si tratta di un enorme cilindro, di oltre 6.000mc, mantenuto ad una temperatura costante di 37 gradi centigradi ed in assenza di aria. In questo ambiente si sviluppando batteri anaerobici che trasformano la sostanza organica presente nei fanghi in sostanza inorganica e biogas. I fanghi trattati vengono inviati al depuratore di Zaule, attraverso una condotta stagna di 2,7 km che impedisce la diffusione di odori molesti fino al trattamento di disidratazione e caricamento sui camion per il loro impiego in agricoltura come emendanti naturali. Il biogas viene invece utilizzato per mantenere costante la temperatura del digestore e per produrre energia elettrica attraverso un cogeneratore a biogas.
Ing. Franco Frezza
Responsabile sede di Trieste